Come se avesse una fisionomia, un colore, un costo, oramai ci si riferisce alla migrazione con un fenomeno di impersonificazione. La si addita, ci si appella, la si chiama in causa.
Ma prima di divenire un sostantivo, la migrazione è un fenomeno sociale delineato nel tempo e nello spazio.
In questo periodo, pare che a perdere la bussola, non sia chi migra.
Per questo motivo, e per fare un po’ di chiarezza, consideriamo gli ultimi dati pubblicati dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR).
Ad oggi, circa 65.6 milioni di persone in tutto il mondo sono state costrette ad abbandonare la propria casa.
Tra questi 22.5 milioni sono rifugiati, di cui oltre la metà ha meno di 18 anni.
Ben 10 milioni di persone sono apolidi – persone che nessuno stato riconosce come propri cittadini, a cui è stata negata la cittadinanza e l’accesso ai diritti fondamentali come l’istruzione, l’assistenza sanitaria, l’occupazione e la libertà di movimento.
Ma arriviamo alle domande che veramente ci interessano: da dove provengono?
Il 55% dei rifugiati di tutto il mondo emigra da soli 3 paesi.
5.5 milioni emigra dalla Siria.
2.5 milioni emigra dall’Afghanistan, e 1.4 milioni dal Sud Sudan.
Dove vanno?
L’Africa ospita il 30% dei rifugiati.
Il Nord Africa e il Medio Oriente, il 26%.
Il 17% vive in Europa, il 16% nelle Americhe.
L’Asia e il Pacifico ospitano l’11% dei rifugiati.
Andiamo ancora più in profondità: quali sono i paesi con il più alto numero di rifugiati?
La Turchia, con 2.9 milioni di rifugiati.
Il Pakistan, con 1.4 milioni di rifugiati.
Il Libano, con 1 milione e l’Iran 979.400.
L’Uganda con 940.800 e l’Etiopia con 791.600 di rifugiati.
E perché migrano?
Una crisi invisibile, un conflitto interno o internazionale, sono le cause che hanno provocato il drammatico crollo del tessuto sociale, economico e politico dei paesi. Le comunità locali, le famiglie, donne e bambini, vivono in uno scenario piagato dall’insicurezza alimentare, dalla malnutrizione, dall’assenza di servizi sanitari, di fonti d’acqua potabile e da un tasso di mortalità in galoppante crescita.
Esortiamo la società a prenderne reale consapevolezza.
I dati sono chiari, non stiamo assistendo a nessuna invasione. La maggior parte dei rifugiati viene ospitata in paesi in via di sviluppo.
Vige l’imperativo morale di rispondere a questa emergenza umanitaria, con misure che affrontino le vulnerabilità e aumentino la resilienza delle comunità coinvolte.
Beatrice Formenti